Emigrare #1958 #InLinguaItaliana #ArchivioStoricoItalianiInVenezuela
Emigrare per qualcosa sta bene... Entra nell'ordine delle cose ma si deve sapere che ci sia qualcuno che sappia, perché si emigra.
Emigrare per qualcosa rientra nell'ordine delle cose, ma sapere qual'è questo qualcosa per il quale si emigra.
Si crede che emigrando si possono raggiungere tanti fini che mai si potrebbero raggiungere stando nella propria terra. Quindi non si emigra, perché si senta una necessità imperiosa, non si tratta più di vita o di morte, ma di una semplice credenza di poter migliorare le proprie condizioni. Già si entra nel campo delle probabilità.
Si è sentito che il tizio è ritornato con dei Quattrini però non si è mai parlato di caio, che è ritornato più povero di prima o non è potuto assolutamente tornare perché non ha mai avuto la possibilità di farlo. Sperando che si possa imitare al tizio, si desidera ardentemente emigrare perché come lui si possa ritornare e non solo si possano vedere i frutti dei propri guadagni Ma che si possa essere annoverati tra i fortunati del paese, di cui un domani se ne possa parlare, addittandoli all'esempio di tutti. A volte, non avvezzi a superare gli ostacoli, mediante i quali uno possa affermarsi, si cercano di evitarli sfuggendoli e, per colmo emigrando, come se Dove si va non vi dovessero esistere ostacoli forza superiori a quelli che si sfuggono. Si vedono gli altri che a forza di sacrifici, riescono a farsi strada, mentre che essi, senza impegnarsi a fondo e molte volte aspettando a braccia conserte, non hanno potuto realizzare nulla, credendo che la propria patria sia per loro la più avara delle madri, decidono abbandonarla, in segno di disprezzo è credendo di poter ottenere dalle matrigne quello che non ha potuto ottenere dalla madre. Sanno quello che lasciano ma non quello che trovano, eppure sono tanto matti da preferire le tenebre alla luce. E vanno, continuamente vanno verso Un avvenire incerto.
Felice Cirelli (1958).
Testo recuperato da Fayruz D. Cirelli (collaboratrice IC1).
Emigrare per qualcosa rientra nell'ordine delle cose, ma sapere qual'è questo qualcosa per il quale si emigra.
Si crede che emigrando si possono raggiungere tanti fini che mai si potrebbero raggiungere stando nella propria terra. Quindi non si emigra, perché si senta una necessità imperiosa, non si tratta più di vita o di morte, ma di una semplice credenza di poter migliorare le proprie condizioni. Già si entra nel campo delle probabilità.
Si è sentito che il tizio è ritornato con dei Quattrini però non si è mai parlato di caio, che è ritornato più povero di prima o non è potuto assolutamente tornare perché non ha mai avuto la possibilità di farlo. Sperando che si possa imitare al tizio, si desidera ardentemente emigrare perché come lui si possa ritornare e non solo si possano vedere i frutti dei propri guadagni Ma che si possa essere annoverati tra i fortunati del paese, di cui un domani se ne possa parlare, addittandoli all'esempio di tutti. A volte, non avvezzi a superare gli ostacoli, mediante i quali uno possa affermarsi, si cercano di evitarli sfuggendoli e, per colmo emigrando, come se Dove si va non vi dovessero esistere ostacoli forza superiori a quelli che si sfuggono. Si vedono gli altri che a forza di sacrifici, riescono a farsi strada, mentre che essi, senza impegnarsi a fondo e molte volte aspettando a braccia conserte, non hanno potuto realizzare nulla, credendo che la propria patria sia per loro la più avara delle madri, decidono abbandonarla, in segno di disprezzo è credendo di poter ottenere dalle matrigne quello che non ha potuto ottenere dalla madre. Sanno quello che lasciano ma non quello che trovano, eppure sono tanto matti da preferire le tenebre alla luce. E vanno, continuamente vanno verso Un avvenire incerto.
Felice Cirelli (1958).
Testo recuperato da Fayruz D. Cirelli (collaboratrice IC1).